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La Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 7279 del 13/03/2023, in tema di società di capitali, si è pronunciata nel senso che l'agire in conflitto di interessi può costituire condotta dell'amministratore a fondamento di un'azione di risarcimento del danno sofferto dalla società. Tale circostanza, peraltro, non esclude la possibilità di far caducare il contratto ritenuto annullabile.

La Corte Costituzionale ha chiarito che è illegittimo negare la cittadinanza italiana per sopravvenuto decesso del coniuge.
Nel caso di specie la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1 legge 91/1992, che disciplina uno dei modi di acquisto di diritto della cittadinanza italiana, attraverso il matrimonio, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza intrinseca della norma. Secondo la costante giurisprudenza della Corte, il principio di ragionevolezza è leso quando si accerti l’esistenza di una irrazionalità intra legem, intesa come contraddittorietà intrinseca tra la complessiva finalità perseguita dal legislatore e la disposizione espressa dalla norma censurata.
La norma viene dichiarata incostituzionale nella parte in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento del diritto alla cittadinanza, la morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del procedimento di cui al successivo art. 7, comma 1. In altri termini, la norma è illegittima in quanto riferisce al momento dell’adozione del decreto, di cui all’art. 7, comma 1, anziché al momento della presentazione dell’istanza, l’accertamento del mancato scioglimento del matrimonio per morte del coniuge.
In particolare, la ratio della disciplina di cui all’art.5 della legge 91/1992, e delle norme ad esso collegate, è quella di offrire allo straniero o all’apolide un modo di acquisto della cittadinanza agevolato rispetto ai meccanismi concessori, sul presupposto della sua appartenenza a una comunità familiare, fondata sul vincolo matrimoniale con un cittadino italiano.
Pertanto, secondo la Corte, è irragionevole negare all’istante, che ha presentato la domanda di cittadinanza e ha maturato i relativi presupposti, il riconoscimento della stessa, in ragione di un evento, quale la morte del coniuge, del tutto indipendente dalla sfera di controllo dello stesso istante, sia dalla ratio dell’attribuzione della cittadinanza. E questo è tanto più irragionevole in quanto potrebbe sussistere un nucleo familiare attuale costituito dal coniuge, rimasto vedovo, con gli eventuali figli nati adottati dai coniugi.

La Cassazione, Sez. lavoro, si è pronunciata sulla legittimità del licenziamento intimato nei confronti di un lavoratore portatore di disabilità in caso di superamento del comporto.
Con sentenza n. 9095 del 31/03/2023 la Corte, aderendo alla giurisprudenza UE in materia, ha statuito che l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto al lavoratore portatore di handicap, e dunque il successivo licenziamento per superamento di tale periodo, rappresenta una discriminazione indiretta, in quanto comporta una disparità di trattamento indirettamente basata sulla disabilità.
È evidente, infatti, che un lavoratore disabile, rispetto ad un lavoratore non disabile, è soggetto a un rischio maggiore di accumulare giorni di assenza per malattia e, pertanto, di raggiungere i limiti massimi previsti dalla normativa in materia.
Di conseguenza, l’applicazione di un periodo di comporto breve, lo stesso previsto per i lavoratori non disabili, costituisce condotta datoriale indirettamente discriminatoria e perciò vietata. La discriminazione opera in maniera oggettiva ed è irrilevante l’intento soggettivo dell’autore: più precisamente, a differenza del motivo illecito, essa opera obiettivamente, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore, in conseguenza della sua appartenenza alla categoria protetta, e a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro.
Questo non significa che un limite massimo in termini di giorni di assenza per malattia del lavoratore disabile non possa o non debba essere fissato: una simile scelta discrezionale del legislatore o delle parti sociali per quanto di competenza, può integrare, come ricorda anche la giurisprudenza UE, una legittima finalità di politica occupazionale. Tuttavia, tale finalità dev’essere attuata con mezzi appropriati e necessari, e soprattutto proporzionati. Pertanto, la considerazione dell’interesse protetto dei lavoratori disabili postula l’individuazione di soluzioni ragionevoli per assicurare il principio di parità di trattamento dei disabili.
Pertanto, nella misura in cui la previsione del comporto breve viene applicata ai lavoratori disabili e non, senza prendere in considerazione la maggiore vulnerabilità dei lavoratori disabili ai fini del superamento del periodo di tempo rilevante, la loro posizione di vantaggio rimane tutelata in maniera recessiva.

La Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza n.16/01/2023, n. 1107 ha stabilito che l’utilizzo di un software nel processo creativo di un'immagine non è "certamente sufficiente" per negare il carattere creativo di un'opera dell'ingegno e tale utilizzo impone solo uno scrutinio maggiormente rigoroso del tasso di creatività, volto a "verificare se e in qual misura l'utilizzo dello strumento assorbito l'elaborazione creativa dell'artista che se ne era avvalsa". Dunque, nell'ipotesi in cui, all'esito di tale accertamento di fatto, venga ritenuto prevalente l'apporto umano rispetto a quello della macchina, non vi è ragione per non riconoscere tutela autorale alla persona che di tale strumento si sia servita.

Secondo un consolidato orientamento nella giurisprudenza della Corte suprema, la chiamata in causa di un terzo ex art. 107 c.p.c. è sempre rimessa alla discrezionalità del giudice di primo grado, coinvolgendo valutazioni sull’opportunità di estendere il processo ad altro soggetto, ed è insindacabile sia in appello che in sede di legittimità.

Nell’ipotesi in cui il giudice di primo grado disponga la chiamata in causa di un terzo, ritenendo che il processo si svolga anche nei suoi confronti, e quindi in assenza di un’ipotesi di litisconsorzio necessario di natura sostanziale, il relativo ordine determina una situazione di litisconsorzio processuale necessario, che non è rimuovibile per un diverso apprezzamento del giudice di impugnazione.
Le conseguenze della mancata ottemperanza all’ordine del giudice comportano la cancellazione della causa dal ruolo e da tale momento decorre il termine annuale entro il quale la causa dev’essere riassunta con la chiamata in causa del terzo, pena l’estinzione del processo, ai sensi dell’art. 307 c.p.c.
L’insindacabilità dell’ordine di chiamata in causa pronunciato dal giudice di primo grado, da parte del giudice di impugnazione, comporta che il giudice di appello non possa che contestare la dichiarazione di estinzione del giudizio da parte del giudice di primo grado in seguito alla mancata ottemperanza dell’ordine di chiamata in causa, ove non si sia provveduto alla riassunzione del processo, con l’integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo, nel termine stabilito dall’art. 307 c.p.c.
Si tratta di un principio che la Corte ha ribadito con ordinanza n.19974 del 12/07/2023.

Domenica, 04 Febbraio 2024 09:09

Danno cagionato dalle cose in custodia

La Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 26013 del settembre di quest’anno, si è pronunciata in materia di danni cagionati da cose in custodia.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza della stessa Corte, il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno. Al custode, invece, spetta l’onere della prova liberatoria dal caso fortuito, inteso come fattore che, in base a fattori della regolarità e adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra la cosa e il danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227, comma 1 c.c. e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che può essere anche esclusiva.
In particolare, nell’ottica della previsione dell’art. 2051 c.c. tutto si gioca su un accertamento causale della derivazione del danno dalla cosa e dell’eventuale interruzione di tale nesso per effetto del fortuito, nel senso che nel caso di una res priva del suo intrinseco dinamismo assume rilevanza anche l’agire umano, nella specie quello del danneggiato, che può arrivare ad escludere completamente il risarcimento del danno.

La Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 7279 del 13/03/2023, in tema di società di capitali, si è pronunciata nel senso che l'agire in conflitto di interessi può costituire condotta dell'amministratore a fondamento di un'azione di risarcimento del danno sofferto dalla società. Tale circostanza, peraltro, non esclude la possibilità di far caducare il contratto ritenuto annullabile.

Ai fini della concessione della cittadinanza italiana, le risultanze penali si possono valutare negativamente sul piano amministrativo, in questo senso si è espresso il Tar di Roma con una recente sentenza risalente a luglio 2023.
In particolare, secondo il Tribunale l’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso nella comunità nazionale, interesse definito composita, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale.
In questo contesto, si comprende come l’amministrazione abbia il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, l’acquisizione di redditi sufficienti a mantenersi e una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La concessione della cittadinanza rappresenta infatti, sul piano giuridico, l’apice di un processo di integrazione che nei fatti é già stato portato a compimento.
Si comprende dunque perché, considerando che il comportamento del richiedente la cittadinanza italiana non è valutato ai fini dell’irrogazione della sanzione, bensì con lo scopo di formulare un giudizio sul grado di assimilazione dei valori e sulla futura integrazione, le risultanze penali si possano valutare negativamente sul piano amministrativo, a prescindere dagli esiti processuali.
Come ribadito dalla giurisprudenza in materia, le risultanze penali sono valutabili sfavorevolmente a prescindere dagli esiti processuali, in quanto rappresentano un indice sintomatico di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primo luogo dal rispetto delle regole di convivenza civile e dalla rigorosa osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento italiano.
Si tratta, pertanto, di addebiti particolarmente rilevanti ai fini della formulazione del giudizio relativo all’inserimento dell’aspirante cittadino.

Con ordinanza n. 25191 del 24/08/2023 la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, si è espressa sulla valutazione del danno morale ai fini risarcitori.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, quale quello alla salute, il giudice di merito, dopo aver individuato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo in peius sulla vita quotidiana del soggetto (c.d. danno esistenziale o danno alla vita di relazione).
In particolare, secondo la Corte, il danno morale, attribuisce rilievo ai pregiudizi del danno alla persona che attengono alla dignità e al dolore soggettivo, ovvero ai quei pregiudizi interiori rilevanti sotto il profilo del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione, che sono differenti ed autonomamente apprezzabili sul piano risarcitorio rispetto agli effetti dell’illecito incidenti sul piano dinamico – relazionale.
Pertanto, sul giudice di merito incombe l’obbligo di considerare, ai fini risarcitori, tutte le conseguenze in peius derivanti dall’evento danno, con il limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici.
A tale conclusione si giunge considerando che, oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale e di un recente intervento legislativo, è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto che, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi questi aspetti, che costituiscono danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti.

Il Tribunale di Ferrara con sentenza in data 09/05/2022 n.142, in tema di vendita di merce on line mediante pubblicizzazione su siti internet, si è espressa nel senso che la successiva mancata consegna della merce pattuita, in assenza di restituzione del prezzo già corrisposto dal compratore, integra gli estremi del reato di truffa.

La Cassazione civile, con ordinanza n. 26986 del 21 settembre 2023 ha chiarito che in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità può riguardare soltanto il rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione, non potendo invece spingersi a considerare il risultato interpretativo in sé, poiché quest’ultimo appartiene all’ambito dei giudizi che sono riservati al giudice di merito. E’ pertanto inammissibile ogni critica sulla ricostruzione della volontà negoziale del giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli elementi di fatto da questi esaminati.
In particolare, la parte che, attraverso il ricorso in Cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli articoli 1362 ss. c.c., ma ha l’onere di specificare i canoni che in concreto ritiene violati ed il modo in cui il giudice di merito si sia discostato da essi.
D’altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice al contratto non dev’essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni. Di conseguenza, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, contestare in sede di legittimità il fatto che sia stata privilegiata l’altra.

Con un’interessante pronuncia del 14 luglio del 2023, la Corte di Cassazione ha precisato, aderendo al proprio precedente orientamento in materia, che il contratto di somministrazione di energia elettrica non richiede la forma scritta né ad substanciam, né ad probationem.Il contratto può essere concluso anche per fatti concludenti, quali l’utilizzo in concreto dell’energia elettrica, e la prova di esso può essere data con ogni mezzo, comprese le presunzioni semplici.

Il Tribunale di Torino con la sentenza n. 103 dell’11 gennaio 2023 ha chiarito che la diligenza richiesta in capo agli amministratori di s.r.l. nell'esercizio delle proprie funzioni è, non già, quella del mandatario, bensì quella professionale richiesta dalla natura dell'incarico di cui all'art. 1176, comma 2, c.c.

Il Tar di Roma con sentenza n.13667 dell’agosto di quest’anno, in accoglimento della domanda del ricorrente tesa ottenere la concessione della cittadinanza italiana, si è pronunciato sulla natura del provvedimento.
L’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione che presuppone l’esplicarsi di un’amplissima discrezionalità in capo all’amministrazione.
Tale discrezionalità consiste nell’esercizio di un potere valutativo che comporta un apprezzamento di opportunità circa il definitivo inserimento del richiedente all’interno della comunità nazionale. Si tratta, inoltre, di un apprezzamento che viene influenzato dalla circostanza che il conferimento dello status civitatis comporta una capacità giuridica speciale propria del cittadino, si tratta infatti di una determinazione che costituisce un’esplicazione del potere sovrano, che spetta solo allo Stato, di ampliare il numero dei propri cittadini.
Tuttavia, l’amministrazione, pur godendo di amplia discrezionalità in questo procedimento, deve fornire un’adeguata motivazione delle sue scelte, in quanto il potere discrezionale non può trasmodare in arbitrio.

Il tribunale di Napoli, Sez. lavoro, con ordinanza del 12/09/2023 n. 19882 si è pronunciato riguardo all’applicazione dell’articolo 2 del D.L. n. 51/2023, che ha previsto la cessazione anticipata dalla carica per i sovraintendenti delle fondazioni lirico sinfoniche al compimento del settantesimo anno di età.
Il Tribunale ha riconosciuto che la ratio della citata disciplina risiede inequivocabilmente nella necessità di contenere i costi della finanza pubblica statale e di scongiurare l’elusione delle norme in materia di quiescenza.
Tuttavia, secondo il giudice del lavoro, la disposizione in esame, e dunque il limite ordinamentale di età (in forza della suddetta norma esteso a settant’anni) risulta applicabile soltanto a coloro che, al raggiungimento del medesimo, abbiano già maturato il diritto a un trattamento pensionistico in Italia, in quanto collocati in quiescenza e, conseguentemente, già gravino a tale titolo sul bilancio statale.
Pertanto, alla luce di un’interpretazione orientata della normativa vigente, la cessazione anticipata del contratto individuale, in assenza dei suddetti presupposti, deve ritenersi illegittima, non potendo rientrare nello spettro di applicazione della norma.

La Cassazione penale, con sentenza n. 13102 del 14/03/2023 si è pronunciata nel senso che ricollegando l'art. 167 all'art. 4 del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, è evidente che, laddove si parla di persona fisica, si faccia riferimento al soggetto privato in sè considerato, e non solo a quello che svolga un compito, per così dire, istituzionale, di depositario della tenuta dei dati sensibili e delle loro modalità di utilizzazione all'esterno: una interpretazione siffatta finirebbe con l'esonerare in modo irragionevole dall'area penale tutti i soggetti privati, così permettendo quella massiccia diffusione di dati personali che il legislatore, invece, tende ad evitare. L'assoggettamento alla norma in tema di divieto di diffusione di dati sensibili riguarda tutti indistintamente i soggetti entrati in possesso di dati, i quali saranno tenuti a rispettare sacralmente la privacy di altri soggetti con i primi entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto trattamento di quei dati senza arbitri o pericolose intrusioni. Né la punibilità - in caso di indebita diffusione dei dati - può dirsi esclusa se il soggetto detentore del dato abbia ciò acquisito in via casuale, in quanto la norma non punisce di certo il recepimento del dato, quanto la sua indebita diffusione.

Con Sentenza n.27205 del 25/09/2023, la Corte di Cassazione ha dichiarato che, in base ai principi generali, le istanze istruttorie rigettate dal giudice del merito devono essere riproposte in sede di precisazione delle conclusioni all’udienza di discussione orale ex art. 281 – sexies c.p.c. in modo specifico e non soltanto con il generico richiamo agli atti difensivi precedenti, dovendosi, in difetto, ritenere abbandonate e non riproponibili con l’impugnazione.
Tuttavia, questa presunzione, deve ritenersi superata se emerge una volontà inequivoca di insistere nella richiesta istruttoria, sulla base di una valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla connessione esistente tra la richiesta probatoria non esplicitamente riproposta con le conclusioni e la linea difensiva adottata nel processo. Della valutazione compiuta il giudice è tenuto a dar conto nella motivazione.

La Cassazione Civile, con ordinanza 22/09/2023, n.27076 si è espressa in materia di vizi della cosa e risarcimento dei danni.
La Corte ha richiamato l’art. 1945, in quanto i termini di decadenza e di prescrizione in esso contenuti riguardano tutte le azioni spettanti al compratore per i vizi o la mancanza di qualità della cosa pattuita e, pertanto, anche quella di riconoscimento dei relativi danni.
In particolare, la norma dispone che l’azione di garanzia per vizi della cosa venduta si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna e questo termine decorre anche se il compratore non abbia scoperto il vizio o se per il riconoscimento del vizio da parte del venditore sia esclusa la decadenza.
In questo secondo caso, tuttavia, la prescrizione annuale deve ritenersi, senza dubbio con riferimento all’azione risarcitoria, interrotta a norma dell’art. 2944 c.c. per effetto del riconoscimento, da parte del venditore, del diritto del compratore alla garanzia.

La Suprema Corte di Cassazione con ordinanza n. 29627 dell’11/10/2022 ha stabilito che l'assegno divorzile ha anche una funzione compensativa o perequativa nel caso in cui risulti che il coniuge meno abbiente abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi completamente alla famiglia nell'ambito di una scelta condivisa dei due ex coniugi che così hanno inteso impostare la vita in comune ed attribuirsi, di comune accordo, differenti ruoli ed attività nella gestione della vita familiare.

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 10233 del 18/04/2023, ha stabilito che il Giudice può rilevare e dichiarare in via officiosa la nullità di una delibera assembleare anche per un vizio diverso da quello denunciato con l'impugnazione, entro il termine triennale di decadenza ex art. 2379 c.c.

Il Consiglio di Stato si è recentemente pronunciato in tema di concessione della cittadinanza, nell’ipotesi in cui il richiedente sia stato oggetto di archiviazione del procedimento penale per intervenuta prescrizione del reato. Tale ultima circostanza non impedisce all'Amministrazione di valutare il fatto storico come indice del mancato inserimento sociale da parte dell'aspirante cittadino, posto che nulla attesta in ordine alla non colpevolezza dei fatti contestati. Infatti, le risultanze penali ben si possono valutare negativamente sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali, in quanto il comportamento non è valutato ai fini dell'irrogazione di una sanzione, bensì allo scopo di formulare un giudizio sul grado di assimilazione dei valori e sulla futura integrazione. Tutto questo a conferma della discrezionalità in capo alla Pubblica Amministrazione con riferimento all’accoglimento della domanda di cittadinanza.

La Cassazione civile, Sez. VI-lav. con l’ordinanza 18 luglio 2022, n. 22484 ha stabilito che la condotta di un lavoratore in malattia che si trovi sotto la doccia quando il medico dell’INPS suona per la visita di controllo non costituisce illecito disciplinare, anche alla luce del successivo comportamento diligente e collaborativo del dipendente medesimo, in quanto le ricadute della mancata visita sul trattamento economico della malattia e l’illecito disciplinare si pongono su piani ben distinti.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 38165 del 30/12/2022 ha previsto che la parodia deve rispettare un giusto equilibrio tra i diritti del soggetto che abbia titolo allo sfruttamento dell'opera, o del personaggio, e la libertà di espressione dell'autore della parodia stessa.
In tal senso, la ripresa dei contenuti protetti può giustificarsi nei limiti connaturati al fine parodistico e sempre che la parodia non rechi pregiudizio agli interessi del titolare dell'opera o del personaggio originali, come accade quando entri in concorrenza con l'utilizzazione economica dei medesimi.

L’ordinanza della Cassazione del 23 maggio 2022, n. 16622 stabiliva che la condanna alle spese processuali, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., va pronunciata nei confronti della parte soccombente e non del difensore, salvo che questi abbia agito quale rappresentante processuale di un altro soggetto senza essere investito del relativo potere, nel caso di inesistenza della procura "ad litem" o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l'atto è speso.

Secondo la recente ordinanza n. 6108/2023 della sesta sezione civile della Corte di Cassazione, il verbale di accertamento fa piena prova fino a querela di falso delle circostanze di fatto che sono attestate come avvenute in presenza del pubblico ufficiale. Ogni diversa contestazione, in esse comprese quelle relative alla mancata particolareggiata esposizione delle circostanze dell'accertamento od alla non idoneità di essa a conferire certezza ai fatti attestati nel verbale, va invece svolta nel procedimento di querela di falso.

Secondo la Corte di Cassazione civ., 21/04/2023, n. 10752, in materia di cancellazione della società, perché il socio della società di capitali possa essere obbligato a rispondere verso il creditore sociale non soddisfatto, occorre, e ad un tempo basta, che lo stesso creditore dia prova della distribuzione dell'attivo e della riscossione di una quota di esso da parte del socio in base al bilancio finale di liquidazione, trattandosi del fatto costitutivo della responsabilità di quest'ultimo.

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 2444 dell’8/3/2023 si è pronunciato in tema di riconoscimento della cittadinanza per residenza. Ai sensi dell'art. 9, comma 1, lett. f), L. n. 91/1992, la cittadinanza italiana "può" essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. Tale espressione comporta che la residenza nel territorio per il periodo minimo previsto dal legislatore è solo un presupposto per proporre la domanda, a cui segue una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che hanno indotto lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale.

Con la sentenza 30 giugno 2022, n. 20823 la Suprema Corte di Cassazione Sez. Lavoro ha stabilito che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra, e solo se il lavoratore abbia fornito tale prova sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

Il Govtech è un termine con cui si definisce la digitalizzazione dei servizi pubblici, con strumenti e piattaforme che, da una parte, possano essere utilizzati per pianificare strategia di governance data driven; dall’altra contribuiscano al delivery del servizio pubblico, nella interfaccia con gli utenti finali (cittadini e imprese) o/e nel loro utilizzo da parte dei dipendenti pubblici.

La Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, 17 maggio 2022, cause riunite C 639/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza e a. ha espresso il principio per cui «l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa - per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità - successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come «consumatore» ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo».

Giovedì, 25 Maggio 2023 10:08

Chi paga in caso di incidente sugli sci

Il Tribunale di Monza con sentenza n. 44 del 09/01/2023 ha stabilito che la gestione di un impianto di sci non sia attività di per sé pericolosa, ma che lo possa diventare se gli utenti si comportano in maniera imperita, imprudente o contraria alle regole o se il gestore non osservi gli obblighi in materia di sicurezza delle piste (manutenzione, rimozione di ostacoli, segnalazione dei medesimi e quant' altro). In sostanza, perché il danno sia addebitabile al gestore è necessario che questo sia stato cagionato da un comportamento omissivo di questo.

La Corte di Cassazione con ordinanza n. 11041 del 27/4/2023 ha fatto il punto in tema di onere della prova per responsabilità degli amministratori di una società di capitali. Colui (società o terzi) che agisce in giudizio con azione di risarcimento nei confronti degli amministratori di una società di capitali che abbiano compiuto, dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, attività gestoria non avente finalità meramente conservativa del patrimonio sociale, ai sensi dell'art. 2486 c.c., ha l'onere di allegare e provare l'esistenza dei fatti costitutivi della domanda, cioè la ricorrenza delle condizioni per lo scioglimento della società e il successivo compimento di atti negoziali da parte degli amministratori, ma non è tenuto a dimostrare che tali atti siano anche espressione della normale attività d'impresa e non abbiano una finalità liquidatoria. Spetta, infatti, agli amministratori convenuti di dimostrare che tali atti, benché effettuati in epoca successiva allo scioglimento, non comportino un nuovo rischio d'impresa (come tale idoneo a pregiudicare il diritto dei creditori e dei soci) e siano giustificati dalla finalità liquidatoria o necessari. In particolare, l'omissione rilevante ai fini della responsabilità non può essere individuata nella semplice omessa segnalazione della necessità di effettuare gli incombenti di cui agli artt. 2484, comma 3, e 2485 c.c., di per sé neutri sul piano del danno sociale, ma deve concretarsi in una omissione produttiva di un pregiudizio al patrimonio sociale, ex art. 2486, commi 1 e 2, c.c.

Il Tar Lazio, sez. I ter, con la sentenza n. 9810 del 16 settembre 2021, stabilisce che ai sensi dell’articolo 9 comma 1 lettera f) della legge n. 91 del 1992, la cittadinanza italiana “può” essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. L’utilizzo dell’espressione evidenziata sta ad indicare che la residenza nel territorio per il periodo minimo indicato è solo un presupposto per proporre la domanda a cui segue una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale, valutazione che si estende anche alla correlata assenza di vulnus per le condizioni di sicurezza dello Stato e in relazione alla quale possono assumere rilievo situazioni che - anche se non caratterizzate nell'immediato da concreta lesività - possano essere tali su un piano potenziale e/o di solo pericolo.

Il Consiglio di Stato, Sez. IV, con sentenza n. 5413 del 30 giugno 2022, ha dichiarato che il riconoscimento della causa di servizio ai fini della pensione privilegiata e dell’equo indennizzo ha una portata ontologicamente diversa rispetto all’accertamento del nesso di causalità in sede di responsabilità civile. Ai fini dell’accertamento della responsabilità datoriale, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, mentre spetta al datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ossia di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo, e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

In Italia, dal 2023, circa un milione di certificati di firma elettronica qualificata (il 25% dei certificati qualificati di firma digitale attivi, ospitati su smart card o token), saranno revocati e, conseguentemente, le firme digitali apposte con tali dispositivi non saranno più valide, per il venir meno della catena di trust eIDAS. A comunicare tale informazione è stata l’Agenzia per l’Italia digitale (AGID) a seguito della notifica ricevuta dall’agenzia francese ANSSI (Agence nationale de la sécurité des systèmes d’information, organismo designato in Francia ai sensi dell’art. art. 30, c1 del Regolamento eIDAS per la certificazione dei dispositivi per la firma elettronica qualificata) dell’imminente revoca di 2 secure electronic signature creation devices (SSCD) e qualified electronic signature creation devices (QSCD) dall’elenco notificato alla Commissione europea.

L’ordinanza della Cassazione del 28 aprile 2022, n. 13342 dichiarava che in base al principio di correttezza e buona fede il creditore è tenuto a rinunciare agli atti esecutivi senza necessità di alcuna sollecitazione da parte del debitore, entro un termine ragionevolmente contenuto, avuto riguardo allo stato della procedura pendente e ad eventuali motivi di urgenza a lui noti, per consentire la liberazione del bene immobile dagli effetti pregiudizievoli per il pignoramento.

La Corte di Cassazione, ordinanza 19 maggio 2022, n. 16224 conclude una lunghissima vicenda processuale, che trae origine da un infortunio occorso nel 1999 al cliente di un supermercato. Lo scorrere del tempo non è un fattore di poco conto, così come il titolo della responsabilità, perché la materia del contendere è la prescrizione o meno del diritto del danneggiato ad ottenere il risarcimento. La conclusione è che si tratti di responsabilità extracontrattuale, ma il ragionamento fatto per giungere a questa conclusione è inedito e di estremo interesse.

La Cassazione civile, Sez. I, con l’ordinanza n. 8012 del 11 marzo 2022 dichiarava che la situazione di conflitto di interessi attiene alla sussistenza di un rapporto di incompatibilità tra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di un terzo che egli, a sua volta, rappresenti, e può integrare ipotesi di responsabilità gestoria, tutte le volte che risulti avere il medesimo, perseguendo l'interesse incompatibile con quello della società amministrata, cagionato un danno a quest'ultima.

Il Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 10 marzo 2022, n. 1718 stabilisce che la concessione della cittadinanza italiana è atto ampiamente discrezionale, che non solo deve tenere conto di fatti penalmente rilevanti, esplicitamente indicati dal legislatore, ma che deve valutare anche l'area della loro prevenzione di guisa che l'atto in questione implica accurati apprezzamenti da parte dell'amministrazione sulla personalità e sulla condotta di vita dell'interessato e si esplica in un potere valutativo circa l'avvenuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale sotto i molteplici profili della sua condizione lavorativa, economica, familiare e di irreprensibilità della condotta. Il provvedimento di diniego della concessione non è sindacabile per i profili di merito della valutazione dell'Amministrazione, mentre lo è invece, e pienamente, per i suoi eventuali profili di eccesso di potere, tra i quali è tradizionalmente annoverata l'inadeguatezza della motivazione.

Con la sentenza 22 luglio 2022, n. 183 la Corte costituzionale ha dichiarato l’inammissibilità, in riferimento agli artt. 3, comma 1, 4, 35, comma 1, e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 24 della Carta sociale europea, delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, nella parte in cui, per i datori di lavoro di più piccole dimensioni, stabilisce che l’ammontare delle indennità di licenziamento è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità, poiché spetta alla discrezionalità del legislatore individuare nuovi criteri di quantificazione in un sistema imperniato sulla portata tendenzialmente generale della tutela monetaria, fermo restando che la specificità delle piccole realtà organizzative, che pure permane nell’attuale sistema economico, non può giustificare un sacrificio sproporzionato del diritto del lavoratore di conseguire un congruo – nel senso di effettivo e adeguato – ristoro del pregiudizio sofferto.

La Cassazione civile con l’ordinanza n. 21963/2022 ha stabilito che l'indicazione geografica protetta (IGP) è costituita dal nome di una regione, di un luogo determinato che serve ad individuare un prodotto agricolo o alimentare originario di tali luoghi e di cui una determinata qualità o la reputazione o un'altra caratteristica possa essere attribuita all'origine geografica, sempre che la produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell'area geografica determinata.

Secondo la Cassazione, ordinanza 21 giugno 2022, n. 19933, nel caso in cui la domanda attorea sia stata parzialmente accolta in primo grado, ed in appello, la parte vittoriosa, in base all'esito complessivo del giudizio resta pur sempre l'attore, con la conseguenza che il giudice di appello potrà compensare, in tutto o in parte, le spese del grado di appello e, solo se vi sia stata impugnazione sul punto, anche quelle del giudizio di primo grado ma non porle, anche in parte, a carico della parte risultata comunque vittoriosa.

La Corte di Cassazione, ordinanza 17 giugno 2022, n. 19619, ha accolto il ricorso avanzato dalla madre di un minore, autore di una violazione di una norma del Codice della Strada ed indicato in proprio come trasgressore in un verbale elevato dalla polizia stradale, contro il quale la donna aveva proposto opposizione, respinta però in primo grado e in appello. Gli ermellini, al contrario, hanno chiarito che, ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 689/1981, non può essere assoggettato a sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni. Inoltre, secondo la suddetta normativa, della violazione risponde chi era tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. Pertanto, qualora, come nella fattispecie, sia accertata l’infrazione di una norma del Codice della Strada da parte di un minorenne, va considerato trasgressore non il minorenne stesso, ma colui o coloro che sono tenuti alla sua sorveglianza, i quali rispondono della violazione non per responsabilità solidale, ma a titolo personale e diretto.

Mercoledì, 15 Febbraio 2023 15:36

Start-UP e procedure prefallimentari

L'iscrizione di una società quale start-up innovativa nella sezione speciale del Registro delle imprese, in base all'autocertificazione del legale rappresentante circa il possesso dei requisiti formali e sostanziali, ed alla successiva attestazione del loro mantenimento, ai sensi dall'art. 25 del D.L. n. 179 del 2012, convertito dalla L. n. 221 del 2012, non preclude la verifica giudiziale dei requisiti medesimi in sede prefallimentare, in quanto la suddetta iscrizione costituisce presupposto necessario ma non sufficiente per la non assoggettabilità a fallimento, a norma dell'art. 31, D.L. cit., essendo necessario anche l'effettivo e concreto possesso dei requisiti di legge per l'attribuzione della qualifica di start-up innovativa.

La sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2 maggio 2022, n. 3409 dichiara che non può essere escluso che anche i reati commessi da componenti del nucleo familiare possano rilevare nella lata valutazione discrezionale che l’amministrazione è chiamata a fare in materia di concessione della cittadinanza italiana, ma deve trattarsi di reati che abbiano una regia familiare ovvero siano connotati da una fruizione familiare dei proventi del reato o ancora denotino atteggiamenti di collaborazione, protezione reciproca o condivisione piena degli schemi devianti, tali da disvelare la scarsa integrazione dell’intera famiglia.
Il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza di primo grado, annulla un provvedimento di diniego della domanda di concessione della cittadinanza italiana motivata dall’esistenza di precedenti penali a carico di familiari dell’interessato.

La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, con la sentenza 28 luglio 2022, n. 199 – per violazione degli artt. 3 e 120, comma 1, Cost. – dell’art. 73 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 14 maggio 2021, n. 6, nella parte in cui stabilisce che il regolamento regionale attuativo può prevedere che l’ammontare degli incentivi sia modulato avuto riguardo al periodo di possesso continuativo del domicilio fiscale sul territorio regionale da parte delle lavoratrici e dei lavoratori di cui viene sostenuta l’assunzione o la stabilizzazione, poiché è irragionevole il collegamento tra il riconoscimento di un incentivo occupazionale destinato al datore di lavoro e il requisito della residenza del lavoratore, così come è irragionevole valorizzare il radicamento territoriale per riassorbire le eccedenze occupazionali nonché utilizzare tale criterio, che limita la mobilità di chi non risiede nella regione, sfavorendo dunque la mobilità interregionale dei lavoratori.

È stato pubblicato in Gazzetta il D.Lgs. n. 123/2022, ed è entrato in vigore il 4 settembre 2022, il decreto legislativo di attuazione del Reg. UE 2019/881 che prevede un quadro di certificazione di cybersicurezza europeo.

Il D.Lgs. n. 123/2022 stabilisce misure volte ad adeguare la normativa nazionale al nuovo quadro europeo di certificazione della cybersicurezza, introdotto mediante le disposizioni del Titolo III del Regolamento (UE) 2019/881.

Il Regolamento intende istituire un quadro di certificazione sulla sicurezza informatica per attestare che i prodotti, servizi e processi TIC siano dotati di requisiti di certificazione. Lo scopo vuole essere quello di salvaguardare la disponibilità, l’autenticità, l’integrità e la riservatezza dei dati che vengono conservati, trasmessi o trattati, come pure proteggere le loro funzioni o i servizi che sono offerti o resi accessibili tramite tali prodotti, servizi e processi per l’intero ciclo vita degli stessi.

In tema di sinistri stradali e di conseguente danno alla persona (del terzo trasportato) l’omesso utilizzo delle cinture di sicurezza deve qualificarsi come condotta eziologicamente capace di causare l’evento dannoso; l’esistenza del nesso di causalità tra condotta illecita ed evento di danno può essere affermata dal giudice civile anche solo sulla base di una prova che lo renda probabile, a nulla rilevando che tale prova non sia idonea a garantire una assoluta certezza. Adito in tema di risarcimento del danno alla persona conseguenza di un sinistro stradale il Tribunale di Lecce, sentenza 29 giugno 2022, (cui si chiede la riforma della sentenza emessa dal Giudice di Pace) si sofferma a vagliare la condotta del terzo trasportato (sul sedile posteriore dell’auto coinvolta nel sinistro) che abbia riportato danni e che era privo di “presidi di sicurezza personale” (cinture di sicurezza).

La Cassazione civile con ordinanza n. 2254 del 26 gennaio 2022 stabiliva che qualora una questione giuridica non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell'inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di specificità del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare la veridicità di tale asserzione.

Il Tribunale di Torino con l’ordinanza del 4 luglio 2022 ha deciso che il conferimento da parte del socio di società a responsabilità limitata di quote di partecipazione in favore di un terzo non costituisce cessione di quote e pertanto non configura violazione della clausola di gradimento riferita al caso di cessione a terzi di quote di partecipazione sociale; non ricorre pertanto il requisito del fumus boni iuris richiesto, ai sensi dell’art. 2378 c.c., per la sospensione dell’esecuzione di delibera assunta da assemblea alla quale era stato convocato, quale socio, il soggetto al quale era stata conferita la partecipazione.

Il ricorso a nome della società estinta espone il legale al pagamento delle spese processuali

La Cassazione civile con la sentenza 21713/2022 ha stabilito che il ricorso per cassazione proposto dall'ex legale rappresentante di una società estinta è inammissibile per la giuridica inesistenza della procura conferita al difensore: quest’ultimo risponde delle spese processuali sostenute dalla controparte se era consapevole della pregressa cancellazione della società dal Registro delle imprese.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 195 del 2022 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – per violazione della legge 5 febbraio 1992, n. 91, nella parte in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza, la morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti per la conclusione del relativo procedimento.

La Cass. civ., Sez. lavoro, con sentenza n. 23884 del 01/08/2022 ha dichiarato che qualora un pubblico dipendente benefici della c.d. mobilità volontaria ex art. 33 e si trasferisca presso un ente pubblico economico, egli manterrà i diritti maturati prima della cessione del contratto sulla base del precedente regime giuridico (come, ad esempio, qualifica, funzione, retribuzione ed altri diritti connessi all’anzianità), ma, una volta divenuto dipendente del detto ente pubblico economico, gli si applicheranno, con riferimento alle vicende successive, la disciplina di diritto privato e la relativa pertinente contrattazione collettiva e non, in presenza di una situazione di soprannumero o di eccedenza di personale; per l’effetto, ove, dopo il trasferimento, il lavoratore abbia acquisito la qualifica di dirigente, il suo rapporto sarà disciplinato dalle disposizioni che regolano il lavoro dirigenziale, fra cui quelle che consentono al datore di lavoro la recedibilità.

Secondo la Cassazione, ordinanza 29 luglio 2022, n. 23762, la clausola inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile, nella quale si stabilisca che l’assicuratore si obbliga a tenere indenne l’assicurato di quanto questi sia tenuto a pagare a titolo di risarcimento di danni causati “in conseguenza di un fatto accidentale” non può essere interpretata nel senso che restino esclusi dalla copertura assicurativa i fatti colposi, giacché tale interpretazione renderebbe nullo il contratto ai sensi dell’articolo 1895 c.p.c. per l’inesistenza del rischio.

Lunedì, 21 Novembre 2022 20:11

Licenziamento disciplinare

La Cassazione, Sez. lavoro, con Ordinanza del 09/05/2022, n. 14667 si è pronunciata in materia di licenziamento disciplinare in ipotesi di una una pluralità di distinti ed autonomi comportamenti.
Infatti secondo la Cassazione se solo alcuni dei quali risultino dimostrati, la insussistenza del fatto imputato al lavoratore si configura qualora possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotte che siano astrattamente idonee a giustificare la sanzione espulsiva, o se si realizza l'ipotesi dei fatti sussistenti ma privi del carattere di illiceità, ferma restando la necessità di operare, in ogni caso, una valutazione di proporzionalità tra la sanzione ed i comportamenti dimostrati. Ne consegue che, nell'ipotesi di sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta dimostrata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa, ricadendo la proporzionalità tra le altre ipotesi di cui all'art. 18, comma 5, della L. n. 300 del 1970, come modificato dall'art. 1, comma 42, della L. n. 92 del 2012, per le quali è prevista la tutela indennitaria cd. forte.

Martedì, 08 Novembre 2022 02:14

Cloud computing

Con una decisione del 24 marzo 2022 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito un importante principio in materia di protezione della proprietà intellettuale in ambienti cloud relativamente all’applicazione dell'articolo 5, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2001/29 del 22 maggio 2001 “sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione”. Infatti, con questa decisione, la Corte di Giustizia stabilisce che "l'espressione "riproduzioni effettuate su qualsiasi supporto" [...] comprende la realizzazione, a fini privati, di copie di riserva di opere protette dal diritto d'autore su un server in cui lo spazio di memoria è messo a disposizione di un utente dal fornitore di un servizio di cloud computing”.

La Suprema Corte di Cassazione precisa il momento in cui inizia a decorrere il termine per la prosecuzione o riassunzione de processo a seguito della morte o della perdita di capacità della parte costituita. Con ordinanza del 24/05/2022, n. 16797, infatti, precisa che la dichiarazione dell'evento interruttivo può essere validamente effettuata dal difensore della parte colpita da esso al difensore della controparte, ai sensi del combinato disposto degli artt. 170 e 300 c.p.c., decorrendo il termine di tre mesi ex art. 305 c.p.c. per la prosecuzione o riassunzione da tale data, nella quale si realizza la conoscenza legale dell'evento interruttivo, e non da quella della successiva formale dichiarazione di interruzione del processo, avente natura meramente ricognitiva, senza che tale disciplina incida negativamente sul diritto di difesa delle parti.
Quindi a rilevare per la decorrenza del termine è la conoscenza legale dell’evento.

Mercoledì, 12 Ottobre 2022 22:44

Corte di Cassazione ordinanza del 20/05/2022

La Corte di Cassazione con la ordinanza del 20/05/2022, n. 16417 ha delineato i profili della responsabilità della Banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici, con particolare riguardo alla verifica della loro riconducibilità alla volontà del cliente mediante il controllo dell'utilizzazione illecita dei relativi codici da parte di terzi.
La Cassazione si è pronunciata affermando trattarsi di una responsabilità di natura contrattuale.
Tale circostanza esclude che vi sia responsabilità dell’istituto di credito se ricorre una situazione di colpa grave dell'utente, configurabile nel caso di protratta mancata attivazione di una qualsiasi forma di controllo degli estratti conto. Conseguentemente per la Cassazione risulta illegittima la decisione con cui il giudice escluda immotivatamente la responsabilità della banca in ordine al prelievo illecito, in mancanza di un'eccezione specifica sulla sussistenza di fatti estintivi o impeditivi del diritto fatto valere, sulla base della mera ipotesi di violazione, ascrivibile al cliente, di norme prudenziali poste a carico dei correntisti online, così violando la regola di giudizio di cui all'art. 1218 c.c.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con ordinanza, 14/01/2022, n. 1053, si è pronunciata in materia di ripartizione della giurisdizione applicabile alle controversie in materia di acquisto della cittadinanza. Alla giurisdizione dell'Autorità giudiziaria ordinaria sono sottoposti i procedimenti aventi ad oggetto le ipotesi di acquisto automatico o volontario, fatta eccezione per quelle riguardanti l'acquisto da parte del coniuge straniero o apolide di un cittadino italiano nelle quali si controverta della sussistenza delle esigenze di sicurezza pubblica ostative al riconoscimento, le quali restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, così come quelle riguardanti le ipotesi di acquisto per concessione.

Venerdì, 30 Settembre 2022 22:36

Indennità di accompagnamento

Il presupposto per il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento in favore degli infrasessantacinquenni, a parere della Cassazione, Sez. Lav. 19 aprile 2022 n. 12452, è precisamente costituito dalla totale inabilità per affezioni fisiche o psichiche di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 2 e 12.

La Corte di Cassazione, Sez. V, con ordinanza del 18/07/2022, n. 22529, si è pronunciata in materia di responsabilità di un liquidatore in caso di successivo fallimento della società. Infatti Posto che il liquidatore di una società, ove constati l'incapienza del patrimonio sociale per l'integrale pagamento dei creditori man mano che i rispettivi crediti vengano a scadenza, deve ritenersi tenuto a promuovere una procedura concorsuale per il soddisfacimento paritetico di tutti i creditori e poiché esso, laddove operi pagamenti preferenziali di alcuni creditori a discapito di altri a fronte dell'incapienza della società può essere chiamato a rispondere del danno da questi ultimi subito ai sensi dell'art. 2489, secondo comma, c.c., la sola circostanza della messa in liquidazione, anche volontaria, della società non è idonea ad integrare il requisito del "fondato pericolo per la riscossione" che legittima la formazione del ruolo straordinario, occorrendo, invece, che a tale condizione concorrano ulteriori fatti.

LA SUPREMA CORTE DI CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE CON SENTENZA (NUMERO REGISTRO GENERALE 26093/2021, NUMERO SEZIONALE 354/2022, NUMERO DI RACCOLTA GENERALE 25317/2022, IN DATA 24/08/2022) HA DELINEATO I SEGUENTI FONDAMENTALI PRINCIPI DI DIRITTO IN MATERIA DI CITTADINANZA:
(i) secondo la tradizione giuridica italiana, nel sistema delineato dal codice civile del 1865, dalla successiva legge sulla cittadinanza n. 555 del 1912 e dall’attuale legge n. 91 del 1992, la cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario iure sanguinis, e lo status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente, è imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano; a chi richieda il riconoscimento della cittadinanza spetta di provare solo il fatto acquisitivo e la linea di trasmissione, mentre incombe alla controparte, che ne abbia fatto eccezione, la prova dell’eventuale fattispecie interruttiva;
(ii) l’istituto della perdita della cittadinanza italiana, disciplinato dal Codice civile del 1865 e dalla legge n. 555 del 1912, ove inteso in rapporto al fenomeno di cd. grande naturalizzazione degli stranieri presenti in Brasile alla fine dell’Ottocento, implica un’esegesi restrittiva delle norme afferenti, nell’alveo dei sopravvenuti principi costituzionali, essendo quello di cittadinanza annoverabile tra i diritti fondamentali; in questa prospettiva l’art. 11, n. 2, cod. civ. 1865, nello stabilire che la cittadinanza italiana è persa da colui che abbia “ottenuto la cittadinanza in paese estero”, sottintende, per gli effetti sulla linea di trasmissione iure sanguinis ai discendenti, che si accerti il compimento, da parte della persona all’epoca emigrata, di un atto spontaneo e volontario finalizzato all’acquisto della cittadinanza straniera - per esempio integrato da una domanda di iscrizione nelle liste elettorali secondo la legge del luogo -, senza che l’aver stabilito all’estero la residenza, o anche l’aver stabilizzato all’estero la propria condizione di vita possa considerarsi bastevole, unitamente alla mancata reazione al provvedimento generalizzato di naturalizzazione, a integrare la fattispecie estintiva dello status per accettazione tacita degli effetti di quel provvedimento;
(iii) dagli artt. 3, 4, 16 e seg. e 22 cost., dall'art. 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948 e dal Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, si ricava che ogni persona ha un diritto soggettivo permanente e imprescrittibile allo stato di cittadino, che congloba distinti ed egualmente fondamentali diritti; ciò rileva anche in relazione all’esegesi delle norme dello Stato precostituzionale, ove ancora applicabili; il diritto si può perdere per rinuncia, ma purché volontaria ed esplicita, in ossequio alla libertà individuale, e quindi mai per rinunzia tacita, a sua volta desumibile da una qualche forma di accettazione tacita di quella straniera impartita per provvedimento generalizzato di naturalizzazione;
(iv) la fattispecie di perdita della cittadinanza italiana, correlata all’accettazione di un “impiego da un governo estero” senza permissione del governo italiano, deve essere intesa, sia nell’art. 11, n. 3, del cod. civ. abr., sia nell’art. 8, n. 3, della legge n. 555 del 1912, come comprensiva dei soli impieghi governativi strettamente intesi, che abbiano avuto come conseguenza l’assunzione di pubbliche funzioni all’estero tali da imporre obblighi di gerarchia e fedeltà verso lo Stato straniero, di natura stabile e tendenzialmente definitiva, così da non poter essere integrata dalla mera circostanza dell’avvenuto svolgimento all’estero di una qualsivoglia attività di lavoro, pubblico o privato.

La Corte di Appello di Roma, sezione I Civile, con la sentenza n. 6640/2021, pubblicata in data 8/10/2021, si è pronunciata rigettando l'appello proposto dal Ministero dell'Interno avverso un'ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., con cui il Tribunale di Roma aveva accolto la domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana di due ricorrenti, discendenti da avi italiani emigrati in Brasile. La Corte Capitolina, sottolineando il principio in base al quale la perdita della cittadinanza deve essere ricondotta esclusivamente ad una espressa manifestazione di volontà del cittadino italiano, trattandosi di principi inerenti diritti fondamentali della persona, ha correttamente affermato che debba escludersi la possibilità di una perdita della cittadinanza per decreto generale del Paese "ospitante", come quello brasiliano del 1889.     

La Corte di Giustizia dell'Unione Europea Sez. IV, Sent., 21-11-2019, n. 198/18 ha stabilito che l'articolo 4 del regolamento n. 1346/2000 dev'essere interpretato nel senso che esso non è applicabile all'azione proposta dal liquidatore di una società soggetta a procedura di insolvenza, stabilita in un primo Stato membro, e che è diretta al pagamento di merci fornite in esecuzione di un contratto concluso prima dell'apertura della procedura di insolvenza nei confronti di tale società, contro la società controparte contrattuale, stabilita in un secondo Stato membro.

Di grande interesse la sentenza della Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite n. 7822/2020, depositata in Cancelleria il 14 aprile 2020, che, in materia di ripartizione di giurisdizione tra giudice ordinario e tributario nel giudizio esecutivo, ha enunciato i seguenti principi di diritto.

Nel sistema del combinato disposto dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 e degli artt. 49 e ss. del d.P.R. n. 602 del 1973 ed in particolare dell’art. 57 di quest’ultimo, come emendato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 114 del 2018, il discrimine tra giurisdizione tributaria e ordinaria in ordine all’attuazione della pretesa tributaria che si sia manifestata con un atto esecutivo va fissato nei termini seguenti:

  • a) Alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione di ogni questione con cui si reagisce di fronte all’atto esecutivo adducendo fatti incidenti sulla pretesa tributaria che si assumano verificati e, dunque, rilevanti sul piano normativo, fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell’intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell’atto esecutivo, qualora la notificazione sia mancata, sia si tratti di fatti inerenti ai profili di forma e di contenuto degli atti in cui è espressa la pretesa, quanto se si tratti di fatti inerenti all’esistenza ed al modo di essere di tale pretesa in senso sostanziale, cioè di fatti costitutivi, modificativi od impeditivi di essa (con l’avvertenza, in questo secondo caso, che, se dedotta una situazione di nullità, mancanza, inesistenza di detta notifica, essa non si assuma rilevante ai fini della verificazione del fatto dedotto);
  • b) Alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione delle questioni inerenti alla forma e dunque alla legittimità formale dell’atto esecutivo come tale, sia esso fosse conseguito ad una valida notifica della cartella o dell’intimazione non contestate come tali, sia se fosse conseguito in situazione di mancanza, inesistenza o nullità della notificazione di tali atti (non deducendosi come vizio dell’atto esecutivo tale situazione), nonché dei fatti incidenti sulla pretesa sostanziale tributaria azionata in excutivis successivi al momento della valida notifica della cartella o dell’intimazione, o successivi – nell’ipotesi di nullità, mancanza o inesistenza della detta notifica – all’atto esecutivo che avesse assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell’intimazione (e dunque avesse legittimato ad impugnarli davanti alla giurisdizione tributaria).
  • In sintesi, alla giurisdizione tributaria spetta la cognizione e la verifica della sussistenza dei presupposti della pretesa in senso sostanziale. Alla giurisdizione ordinaria spetta la cognizione delle questioni inerenti la legittimità formale dell’atto esecutivo.

 

La Corte di Cassazione con sentenza 10905/2020, depositata in data 31 marzo 2020, ha affrontato il tema di espressioni offensive pronunciate da una persona mediante comunicazione telematica diretta alla persona offesa, ed alla presenza, altresì, di altre persone invitate nella chat vocale. La Suprema Corte ha chiarito che l'elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2015).